Ciao Papa Cloaca, inizio con la classica domanda, perché questo nome d’arte?
Ciao. Più che un nome d’arte è un soprannome che mi porto dall’ adolescenza.
La Cloaca maxima è la prima grande opera dei romani. Un sistema fognario tutt’ora funzionante costruito 700 anni prima del colosseo che ha di fatto permesso la bonifica dell’ intera area del foro boario dal quale si è sviluppata l’ antica Roma. La realtà però fa riferimento al mio essere spartano e rude.
Sei sulla scena musicale da molti anni, quando hai capito che la musica reggae sarebbe diventata la tua strada?
Da quando ho ascoltato da vicino nei primi anni ’90 il primo sound system al centro sociale del mio quartiere “Auro e Marco”. Era un sound inglese tutt’ora operante, I’RDK HI FI, dal quale acquistai anche i primi dischi. E’ stato un amore travolgente che mi ha fatto conoscere moltissime persone ed abbracciare una musica che va al di là delle semplici note musicali ma porta con se un messaggio culturale importantissimo.
Sei membro del Baracca sound di Roma e da poco è uscito il tuo primo disco da solista. Come mai questa scelta ‘solitaria’ visto che sei stato sempre nella crew?
È stata una scelta assolutamente condivisa da tutti. Il bisogno di sperimentare nella musica fa parte del gioco, è stato un percorso interessante e del tutto nuovo per me, e grazie al sostegno di tutta la “baracca” è stato anche divertente e partecipato. Chiaramente l’ uscita del disco da solista non fa’ che rafforzare il legame con gli altri membri della band e del sound system. Il baracca è un movimento ampio e diversificato che si muove come un collettivo in cui ognuno ha i propri spazi condivisi con tutti.
Come è stato concepito questo tuo album?
L’ idea dell’ album nasce dal profondo legame con il nuovo sound system ricostruito dopo che un incendio doloso ha completamente distrutto lo storico baracca sound. La solidarietà che abbiamo ricevuto durante la campagna “ricostruiamo baracca sound system” è stata a dir poco commovente. L’ approccio musicale dell’ album è volto a riproporre l’ atmosfera che si respira durante un sound system. I riddim, le strutture dei brani e le tecniche utilizzate in studio sono molto semplici e spontanee. A volte le registrazioni sono state effettuate senza pause, come si dice in gergo “one touch”. Questo, a mio avviso, rende il disco molto genuino, cosa che nel reggae risulta spesso essere un valore aggiunto.
Ti occupi di reggae da tantissimi anni, secondo te quali sono stati i cambiamenti fino ad oggi? Sono stati positivi?
Ci sono molte cose positive ed altrettante negative. Il reggae è un mondo sempre in evoluzione e come in tutte le cose l’ importante è non perdere di vista la natura culturale di questa splendida musica in battere e levare. Per quanto mi riguarda sono un amante delle sonorità “antiche” quindi posso dirti che la mia personale collezione vinilica spazia dalla fine degli anni ’60 agli inizi degli anni ’90.
Quali saranno le tue prossime date di presentazione del disco?
Abbiamo delle bellissime date fissate per l’ estate ma chiaramente tutte con il baracca sound in full crew.
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