Raccontiamo Fragments dei Blackdahlia

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Scritto da Ella Huges

Dopo svariate vicissitudini nello scaricare il materiale promozionale (si, i computer inglesi sono razzisti nei confronti di quello che non è autoctono), ho finalmente tra le mie mani, e nel mio iTunes, Fragments, dei Blackdahlia.
Nonostante l’iniziale disappunto tecnologico, l’album è una piacevole scoperta.
Long story short; i Blackdahlia hanno messo insieme la loro attuale formazione nel 2010, partecipando a svariate competizioni canore in Italia, ma ottenendo anche discreti successi all’estero, in particolare l’inserimento della canzone When a tear falls nella compilation “Kill city vol. 21”, disponibile nel mercato americano, trasmessa in 25 college radio sul suolo dello zio Sam. Ogni tanto esportiamo anche qualcosa di buono, oltre alla pizza col pollo.
A partire dalla fine del 2011 i Black Dahlia hanno iniziato a lavorare a questo album, completato nel 2013, e presentato ufficialmente a Milano all’inizio di quest’anno, ricevendo consensi di pubblico e addetti ai lavori.

L’album, come loro stessi sottolineano, e come dice lo stesso titolo, è una storia di frammenti; frammenti di emozioni, di sogni, di ricordi, ma a volte anche di dolore.
La delicatezza della voce di Samuela, vocal e piano, accompagna l’ascoltatore attraverso questo mondo buio, ma non per questo spaventoso, lungo un cammino costellato di crescendo di chitarre e rullate di batteria, verso la luce.
La sua voce, così simile al canto di una sirena, incanta e affascina, ma allo stesso tempo penetra nelle orecchie, rendendola una voce straordinaria e incapace di essere dimenticata.
Non in secondo piano i suoi compagni di gruppo, Ruggero e Gianluca alle chitarre, Antonio al basso e Ludovico alla batteria, che creano il giusto tempo, danno il giusto ritmo, incidono nel giusto momento, creando una sonorità metal, ma dal gusto delicato e sofisticato di chi non ha iniziato per caso in un garage ma ha sacrificato ore e ore a uno studio meticoloso e attento. 

L’album è ben congegnato, otto tracce che scivolano meticolosamente una dentro l’altra, creando un mix esplosivo che  raggiunge il suo picco con Lost in the daylight, la traccia numero sei, dove la voce di Samuela entra quasi in competizione con il pianoforte sottostante in quanto a delicatezza, per poi inserire la batteria e le chitarre, rendendo questa canzone uno dei pezzi più notevoli di tutto l’album.
Molto belle anche Wounds, in particolar modo l’ intro con un’accattivante chitarra che fa da preludio all’esplosione di batteria e basso poco prima del ritornello, e Fly che mette in risalto la potente estensione di Samuela.

Sotto l’etichetta metal in realtà si nasconde molto di più. Invece che otto canzoni fatte di urla e chitarre pesanti e batterie a doppio pedale, ci troviamo di fronte a un album che non ha nulla da invidiare ad artisti come gli Evanescence o i fin troppo sottovalutati in patria Lacuna Coil.
Bravi bravi bravi. Nel mio personale carnet di stelline da uno a cinque ve ne do più che volentieri quattro.
L’unico appunto che mi sento di fare a Samuela riguarda l’inglese.
Il suo inglese è molto buono, migliore anche di quello di certi madrelingua, la pronuncia è ottima, ma ancora si sente che è un po’ macchinosa. Ma sono più che sicura che con il tempo andrà meglio.

That’s all folks. Alla prossima.

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