E’ uscito Venerdì 17 Ottobre Earth Hotel, quarto album targato Paolo Benvegnù.
Ecco cosa ci ha raccontato in questa piacevole chiacchierata.
Intervista a cura di Angela Mingoni
Benvenuto Paolo e grazie per il tempo che ci dedichi!
Iniziamo subito: Chi o cosa ospita Earth Hotel?
Allora, faccio una piccola precisazione; in realtà sono davvero per certi versi il cantate dei Paolo Benvegnù; è vero, io scrivo i pezzi però diciamo che è come se in un collettivo di pittori io scegliessi la cornice e poi i colori li mettono tutti, ci tengo a dirlo, quindi più che quarto disco solista, lo chiamerei quarto disco a nome Paolo Benvegnù. Lo so, potevamo trovare un nome un po’ più interessante, ma quello ci è venuto in mente all’epoca e quello ci teniamo (ride, ndr).
Detto questo, che è una considerazione veramente da stupido (ride di nuovo, ndr) cosa c’è dentro Earth Hotel? Beh, almeno per quanto riguarda la mia maniera di percepire le cose c’è il mostruoso ed il sublime, il normale, il pensiero colto,quello a lunga scadenza lo sguardo piccolo e lo sguardo verso orizzonti più ampi insomma quello che normalmente tutte le persone fanno e compiono in questo pianeta che personalmente, e questa è forse la mia unica piccola intuizione,percepisco come una stanza d’albergo.
Siamo qua in transito e lasciamo una traccia, qualunque essa sia, e questa traccia alla nostra scadenza verrà brandita da qualcun altro. Siamo qui a vivere questa meravigliosa e terribile confusione che è la vita.
Dall’ uscita di Hermann sono passati tre anni, la vita procede a pieno ritmo tra incontri, intuizioni ed esperienze.
Quello che interessa sapere a me è se i tre anni sono voluti. Ossia, ti sei voluto prendere tutto il tempo per poter realizzare un nuovo disco con calma o qualche intoppo?
(Ride) Beh, diciamo che due sono le motivazioni principali. La prima è la necessarietà di compiere un atto.
Vedo l’umanità disperatamente alla ricerca di compiere un atto qualsiasi per motivare la propria presenza su questo pianeta perciò ritorno al discorso della stanza d’albergo di cui ti parlavo prima.
Non avendo più 21 anni, ahimè, ma arrivato quasi al mezzo secolo devo avere una necessità di fare una cosa.
La seconda motivazione è che ho anche cercato di scrivere nel conscio qualcosa che fosse percepibile da me stesso come qualcosa di diverso e di continuativo rispetto alla grande regia del nulla che sto compiendo da quando ho cominciato a scrivere canzoni.
Per cui in questi tre anni ho scritto almeno tre dischi di cui due sono andati al macero ed al terzo tentativo, finalmente, andando verso l’inconscio, cioè andando verso il vuoto più che verso un obbiettivo d’espressione, sono rimasto soddisfatto dalle piccolissime e sciocche intuizioni che sono venute fuori e questo mi sembrava qualcosa di più vero e più necessario, secondo me ovviamente.
Dalle tue parole ti si percepisce come un uomo fortemente esigente con se stesso.
Quanto sei duro verso la tua arte ed il tuo essere?
Durissimo, arcigno, perché è giusto che sia così. Io mi ritengo uno studente, se potessi vorrei ritenermi una studentessa ma non posso perché sono imprigionato in un corpaccione.
Perciò sono uno studente di questa materia così delicata e meravigliosa e così misterica che è la vita, perciò essendo uno studente e quindi ,per certi versi ,anche un ricercatore, una volta che si fa una piccola scoperta bisogna essere estremamente più duri per trovare qualcosa che ci porti avanti.
Da un lato il mio non è sicuramente un percorso ambizioso perchè le scoperte e le piccole intuizioni che cerco di prendere sono sempre relative a qualcosa che ha a che vedere con la mia esistenza perciò non ho ambizioni di essere nient’altro che non sia questa anima e questo corpo e tutto quello che ne consegue.
D’altro lato, al di là della finzione, c’è il tentativo di far aderire completamente la mia vita reale con la vita immaginata, cioè quella che si trova all’interno delle canzoni. Fino a che non sento una reale aderenza non mi ritengo soddisfatto e perciò, insomma tu di sicuro lo sai, mano a mano che si va avanti nel tempo giustamente un ricercatore cerca sempre di più da se stesso, ma ti assicuro che per trovare questa aderenza è stata una lunga lotta.
C’è speranza per tutti insomma!
Guarda io ho iniziato a scrivere canzoni a 28 anni e faccio questa cosa da 20 anni. Una persona con così poco talento come me…. Beh è significativo del fatto che ci sia speranza per tutti! Senza alcun dubbio!
La tua carriera è ventennale tra gli Scisma, la svolta solista, lo spostamento a Firenze, le produzioni artistiche.
Hai mai pensato in tutto questo tempo di allontanarti dalla scena musicale?
Si certo quello sì. La voglia di smettere è una cosa che mi è venuta un sacco di volte e per certi versi, in piccoli periodi, ho anche smesso.
Ma in realtà il mio problema è questo; proprio come nella vita concreta, nel mondo reale come lo chiamo io, non riesco a non sentirmi gravido di aspettative, ma non su di me ma sullo sguardo più che altro, sulla potenza rivelatrice dello sguardo nei confronti dell’altro inteso come altro essere umano, inteso come altro universo.
Perciò questo fuoco inestinguibile mi guida a scrivere canzoni. Alle volte mi guida a prendere una tela ed andare in cantina ad imbrattarla, alle volte mi guida a scrivere delle cose che puntualmente dopo qualche mese vanno nel camino perché d’inverno fa freddo.
Non sono fatto per una vita comoda, ho sempre bisogno di disarcionarmi per sentirmi vivo.
Una Nuova Innocenza è il primo singolo.
Perché parlo di una nuova innocenza? Beh perché, per quanto mi riguarda, ho avuto questa piccolissima e stupidissima intuizione che l’amore non sia proprio quello che noi facciamo, quello di cui parliamo tante volte, o meglio; una parte della parola, del senso dell’amore è quella, mentre un’altra è legata alla semantica della parola; a – more, a mors, non morte.
Se si passa da questo assioma ogni gesto che compiamo è non morte, anche questa telefonata è un atto d’amore ossia di non morte, perciò quello che mi viene da pensare è che forse, finalmente per la prima volta, sono riuscito ad affrontare sia più in profondità che più in altezza un tema di cui avevo sempre parlato ma solo in soggettiva. Questa volta mi sembra di essere stato più completo non tanto nel trattarlo ma quanto meno nel comprenderlo.
La scena musicale italiana indipendente è ormai satura. Tutti voglio essere indie ma pochi riescono ad ottenere risultati importanti.
In tutto questo marasma, dunque,come si riesce a sopravvivere?
Io posso parlarti della mia esperienza da neandertaliano in un mondo di sapiens sapiens ormai no?!
Per quello che riguarda il sopravvivere penso che ognuno che ha in sé questo senso della ricerca deve tenere il timone a dritta perché il sottofondo storico continua a cambiare in maniera repentina e anche truffaldina mi viene da pensare.
E perciò deve guidare il senso della propria espressione per sè. Punto.
Tanto è vero che, mai come in questo momento, la musica d’intrattenimento e la musica d’espressione, sto mutuando le diramazioni di cui Pasolini parlava nel cinema, ovvero il cinema d’arte come lo chiamava lui ed il cinema d’intrattenimento.
Perciò mutuando questa cosa, la musica di espressione e la musica d’intrattenimento adesso si sono proprio separate definitivamente e questa è una cosa che mi piace molto perché così almeno ognuno sa che cosa deve fare della propria esistenza e perciò già questo è un discernimento rispetto della confusione a cui tu fai riferimento.
E’ ovvio che poi la tecnologia ci ha messo di mezzo il fatto che adesso sia molto più semplice fare un disco rispetto ad una ventina di anni fa e parlo proprio dal punto di vista dei costi. Perciò cosi come una volta la maggioranza era silenziosa adesso la maggioranza invece commenta su qualsiasi tipo di portale qualsiasi tipo di notizia.
Si è scatenato con le nuove tecnologie da un lato la possibilità di fare dischi con grande facilità, di fare album fotografici con grande facilità e forse magari da un lato è un bene però anche il commento becero riguarda questo, il mio parere meno benevolo riguarda questo.
Detto ciò mi sono sempre chiesto che cosa significhi essere indipendenti, cioè essere indipendenti da chi e da che cosa quando poi nella realtà, nella maggior parte dei casi, il tentativo è quello disperato di farsi sentire da più gente possibile ed avere una vera posizione nel mondo.
Perciò rifiuto l’etichetta di musica indipendente; la rifiuto perché non è vera, perché non ha senso, non c’è un interlocutore a cui si è alternativi, un interlocutore non esiste.
Penso che invece semplicemente ci sia una grande volontà di espressione; all’80 percento dei casi la volontà di trovare un proprio spazio che è un ottimo carburante, perciò lo spazio è gotico, ed il rimanente 20 percento è una spazio invece soltanto d’espressione e d’artigianato e questa è una cosa che ovviamente mi piace di più.
Anche io non sono scevro da un peccato originale, cioè quello di aver tentato disperatamente con gli Scisma di avere uno spazio personale, sono passato da lì e già alla fine di quell’ avventura per fortuna avevo sciolto questo ego per poi buttarmi nell’acqua che è l’esistenza perciò è molto più semplice, è molto più confortante la vita dopo quel passaggio. Lo auguro a tutti i ragazzi che suonano di smettere di rompersi le scatole di trovare una produzione, di essere controllati rispetto a se stessi e a quello che queste persone chiamano il loro pubblico. Il pubblico non esiste, esiste soprattutto l’espressione per sè e poi la grande fortuna che qualcuno possa incontrare la parola di qualcun altro, anche semplicemente una persona sola fuori da una stanza.
Le difficoltà sono diverse ora rispetto alla tua generazione perché il mondo e la società sono cambiate e questo è un fatto. Ma io ho avuto sempre la strana impressione che per voi, quando avete iniziato, fosse più semplice, che ci fossero meno sovrastrutture.
Mmmmm sì. Da un lato più semplice perché c’era più ingenuità, adesso chiunque cominci anche magari da giovanissimo un progetto musicale ha davanti a sé la possibilità di ascoltare tutto il mondo, perciò può virare in maniera precisa e definita dove vuole andare, mentre prima era più semplice perchè era più legata alle istanze personali per cui per certi versi la nostra scena, la scena dei neandertaliani, poteva sembrare ai tempi più originale.
In realtà però da un lato c’era molta più difficoltà invece a fare un disco, dovevi vendere un rene per farlo oppure lavorare quattro anni per riuscire a mixare tre pezzi.
Adesso, secondo me, è più semplice fare dischi ma è meno semplice farli ascoltare. Mentre una volta chi faceva un disco aveva più possibilità, era già un caso raro riuscire a fare un disco specialmente a metà degli anni ’90.
In Italia c’è ancora qualche speranza per l’arte?
Oggi come oggi esiste questo dialogo dove ti chiedono: che lavoro fai? Il musicista! No ma dai, il tuo vero lavoro.
Io voglio dare una speranza, più che altro una speranza di grande solidità. Pensa che ancora adesso a me chiedono che lavoro faccio.
In questo c’è una bella continuità per cui la speranza è che comunque sia chi cerca di fare artigianato, come lo definisco io, è comunque visto come uno che ruba il pane a tradimento mettiamola così e questa è una traccia interessante del nostro Paese.
Il Paese con più rilievi d’arte proprio storicamente e nel tempo si vedono dal punto di vista sia architettonico che del pensiero; non ci dimentichiamo che specialmente la parte migliore di questo Paese è figlia diretta della Magna Grecia, parlo del sud Italia, che è così vessato ma che ha una complessità di pensiero che viene diretto dai presocratici.
Per questo motivo chissà perche è come se dalla morte di Pasolini rigettassimo qualsiasi tipo di pensiero o altro che non sia “quanto guadagni” e “che cosa stai facendo” , è una cosa veramente assurda ed è applicabile a tutti i campi.
Mai come in questo momento c’è un grande risveglio transgenerazionale e perciò questa è una cosa bella, mi sembra che mai come in questo momento ci sia creatività in Italia e questa creatività è vessata dall’impossibilità di spazi e dall’impossibilità di quelle persone che lavorano nell’arte di far uscire questa sorta di artigianato verso l’esterno. L’artigianato è vessato da coloro i quali non hanno passione e vogliono solamente il guadagno.
Ovviamente si guadagna di più a cercare di truffare la gente in borsa piuttosto che curare il management di un pittore o uno scultore o un musicista, perciò questo legherà sempre questo Paese ad un passato quasi, per certi versi, necrofilo e fa in modo che un uomo di 50 anni come me, che fa questa cosa da vent’ anni sia tuttora visto come uno che scrive canzoni da un anno il che è paradossale però è anche divertente.
Chi sceglie di vivere in questo Paese e fa un certo tipo di scelta sa bene che deve lottare prima di tutto contro lo sfondo storico e sociale e poi cercare di sopravvivere in un’altra maniera perciò hanno ragione quando dicono che altro lavoro fai? Guarda, io per fare il musicista faccio il cameriere e questo è vero perciò c’è sempre un secondo lavoro per potersi mantenere.
E’ una meravigliosa passività.
Grazie infinite Paolo per questa splendida chiacchierata.
Spero di essere stato esauriente, abbi pazienza che sono un uomo in piena confusione!
Va beh dai ti perdoniamo, ma giusto perché sei tu!
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