MR KITE..l’omino di Sgt Pepper diventa un gruppo italiano

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MR KITE
presenta
Mr Kite
autoproduzione

Pagano tributo ai Beatles con il loro nome (citazione di Being for the Benefit of Mr. Kite!, una canzone di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band). Ma le similitudini con i baronetti finiscono qui, a parte una certa propensione a suonare pop. Pop che però viene affrontato con una visione spiccatamente dream, con suoni eterei, perfetti intrecci di chitarre che fanno pensare a The Edge o a una versione di Johnny Marr del nuovo millennio. Insomma, tra The Smiths, U2 e un amore per i delay immenso e le dilatazioni wave. Un disco che suona “brillante” per il quartetto di Lecco al suo esordio.

1 – Come definiresti con quattro aggettivi la tua/vostra musica?
Sognante, colorata, nostalgica, pura.

2 – Come si intitola la tua/vostra ultima fatica discografica e come è stato il percorso di produzione della stessa?
Il percorso dietro a questo disco è stato piuttosto lungo e ricco di esperienze, anche perché abbiamo 22 anni, suoniamo insieme da 8 e questo è solo il nostro primo vero disco; il che è tutto dire su quanto tempo in prove, date live e studio di registrazione ci abbiamo investito; tanto…forse troppo!

In passato abbiamo ovviamente già registrato dischi, demo ecc. ma non siamo mai stati ampiamente soddisfatti e abbiamo preferito accantonarli, quindi questo disco abbiamo deciso di registrarcelo “in casa” nello studio del nostro batterista, per arrivare a una resa che fosse abbastanza genuina, non influenzata da produzioni eccessive esterne che per esperienze passate ci siamo resi conto, andavamo ad offuscare l’essenza dei pezzi.

È un disco che ha molte atmosfere, alcune più sognanti e emotive, altre più incazzate, altre semplicemente narrative.
Per questo il disco non ha un titolo, non volevamo deviare in qualche modo l’ascoltatore su un’atmosfera piuttosto che un’altra, avevamo tante idee ma tutte ci sembravano in qualche modo limitanti, e ci sembrava giusto che il primo disco si chiamasse non altro che “Mr.Kite”, perché racchiude tutto quello che abbiamo coltivato in questi anni.

3 – Se ti chiedessi quanta gente “mi porti” ad un tuo concerto, come reagiresti?

Probabilmente ti chiederei: quanta gente ci porti tu? spesso si considera il far suonare una band come un favore, del tipo: “io ho un locale, e se proprio proprio mi porti più di 40 persone ci posso pensare, altrimenti ne faccio a meno che a me va bene anche così.”.

La cosa paradossale è che in generale le band secondo me, sarebbero ben disposte a rinunciare a parte del cachet per investire insieme al locale in promozione, con manifesti, post sponsorizzati, grafiche curate, affitto di impianto luci/audio (che di nuovo, paradossalmente non è mai certo ci sia), insomma, dev’essere una collaborazione reciproca, si deve muovere tanto la band quanto il locale.

4 – Quanto sono importanti i social per la tua/vostra musica?

Sono importanti perché offrono praticamente l’unico mezzo per poter restare a galla, la cosa rischiosa è che comunque la memoria delle persone ora risiede comodamente in tasca, quindi il secondo dopo in cui hanno messo like al tuo post, se poi non li catturi emotivamente è difficile che si ricordino di te, quindi su facebook e instagram (i principali social che usiamo quotidianamente) puntiamo a creare una rete che potenzialmente sia davvero interessata a quello che offriamo, quindi cerchiamo di usare i social quasi interamente come veicolo di informazione, per promuovere le date live, l’uscita di dischi, l’uscita di video, sperando che poi quello che offriamo interessi e colpisca.

5 – A quanti concerti di musica di altri artisti indie sei stato negli ultimi sei mesi e cosa ne pensi dell’underground indipendente?

Andiamo sempre a molti concerti, almeno uno a settimana.
Spesse volte andiamo a vedere altre band emergenti, e altre volte andiamo a concerti più grossi di artisti italiani o esteri, ma crediamo non esista più una distinzione tra underground e mainstream rispetto a quando abbiamo iniziato.

Le scelte di produzione dei dischi oggi sono quasi equiparate, anzi, spesso il mainstream gioca su trend nati dall’underground, e gli artisti “indie” passano in radio e in tv tanto quanto quelli mainstream, e spesso sono gli stessi artisti indipendenti a scrivere hit per artisti mainstream.

Insomma ormai è tutta una grande minestra, non esiste più un vero e proprio underground indipendente, se non quello costituito da band ancora emergenti che per forza di cose devono essere indipendenti nel vero senso della parola (chiamare locali, farsi le grafiche, registrarsi i dischi, promuoverli ecc…).