Portatori sani di Pannocchie. Si scherza ovviamente…ma portatori sani lo sono e non di pannocchie quanto di panni lavati, stesi al sole ad asciugare aspettando che qualche ben pensante dal colletto bianco stirato e lustrato si accorga di quanta bella musica noi italiani sappiamo fare senza dover scomodare i nomi pettinati delle riviste e rotocalchi. E i THE PANICLES forse scottati da troppi numeri imprenditoriali di un bel giro promozionale negli anni passati, tornano alla semplicità delle loro origini e fanno lezione con un disco semplice e snello, minimo ed essenziale, elettronico ed acustico. Accendo un lume rosso porpora, metto dei led dietro le tende, scaccio le mosche e un buon vino sotto la gonna. Tengo il volume ben presente e se si veglia nonna le faccio capire chi siamo diventati dopo la grande guerra di Mussolini.
Italianizzando il nome: portatori sani di panico o di pannocchie? Come si arriva a THE PANICLES?
Portatori sani di panico e pannocchie. Entrambi. Perché la prima formazione della band faceva prove in mezzo ai campi di mais. E perché il panico è sempre dietro l’angolo, dietro alle scelte importanti, dietro al cambiamento, ma è bello poterlo esorcizzare con un nome (aggiungendo una “s”, sia chiaro).
Italianizzando la vostra musica: pop o indie rock? Raccontiamocelo senza prendere in prestito modelli Anglo-Americani. Si può?
Perché bisogna italianizzarla, la nostra musica? Quando ci abbiamo provato non ci è piaciuto granché, salvo per un paio di brani. Le etichette fanno schifo e non è più tempo di usarle (non ci riferiamo alle discografiche, ma alle etichette che servono a definire un genere; le etichette discografiche – a volte – servirebbero ancora). Preferiamo essere THE PANICLES e immergerci nella costante evoluzione delle cose senza più curare di definirci, altrimenti “l’arte” e il fuoco che arde dentro di noi per la voglia di tentare di farla esprimendoci, se ne va.
Denunciamo la verità: cosa rispondiamo a tutti quelli che tireranno fuori gli U2 citando il vostro disco?
Rispondiamo che è più che vero: gli U2 (soprattutto quelli fine anni ’80 e inizio ’90) ci piacciono. Mik si sente dire due volte al giorno che sembra Bono quando canta, attenzione però che quando i nostri pezzi erano in italiano invece veniva di continuo accostato a Renga e Sangiorgi, sempre per quella questione delle etichette di cui sopra, perché bisogna dire “somiglia a”. Ma rispondiamo anche che ci piacciono allo stesso modo Pearl Jam, Radiohead, Led Zeppelin, Dave Matthews Band, Rolling Stones, Beatles, Jeff Buckley, Nirvana, Foo Fighters, Ben Harper, Beck, Pink Floyd, Sigur Ros, Björk, Pj Harvey, Nei Young, The Doors, The Who, e per uscire dalla famiglia pop-rock-grunge-alternative: BB King, Miles Davis, Bob Marley, Chemical Brothers, Bach, Chopin, Tchaikovsky (più decine di altri, a dire la verità), e che quindi se ci ascoltate e sentite un po’ di U2 va benissimo, ma forse siete un po’ “distratti” perché le altre influenze sono molte. Se questa risposta non va bene, pazienza, sarà per il prossimo disco, in cui le faremo sicuramente sentire di più attraverso l’esperienza.
Ritorniamo all’origine e alla semplicità delle cose. È questa la vera ambizione del vostro disco?
Si, lo è. Questo disco è fatto di idee semplici di ciascuno di noi, anche se il risultato può non essere così immediato. Fatto interamente secondo il nostro modo di intendere la musica che ci piace.
Senza pensarci troppo. Escludendo solo le cose che non ci parevano belle.
Ci sembra un buon modo di fare un disco.
Se la semplicità è il leitmotiv di questo disco, perchè tanta complessità nei suoni e nel video? Complessità ma ben fatta…va detto.
Ci sembra che spesso si confonda ciò che è semplicità con ciò che è banalità. Amarsi e fare un figlio con un’altra persona è la cosa più naturale del mondo, ma chi si sognerebbe di dire che è semplice o banale? Per noi fare questo disco è stata la cosa più naturale che potessimo fare, quindi originata, come si diceva, dalla semplicità frutto della nostra intesa. Idem il concetto alla base del video di Simplicity. I controsensi poi, si sprecano. Ma le cose “belle” – anche oggettivamente belle -quindi non solo un quadro di Caravaggio o un film di Kubrick, ma per esempio una cascata o le stelle, spesso sono frutto di apparenti controsensi (la cascata è acqua che cade, “vive” per via della gravità, ed è magnifica; le stelle, ugualmente magnifiche, se ne stanno lì appese nel vuoto e la gravità non c’entra più un fico secco… Non c’è un sottile controsenso all’apparenza?) . Abbiamo dunque peccato di eccessiva autostima e amore per il nostro lavoro fatto insieme se abbiamo sperato di riuscire a fare qualcosa di “bello”?
Italia Vs Resto del mondo. I The Panicles dove vorranno mettere le radici?
“Il mondo è paese”: non è vero. Però vorremmo lo fosse. Adoriamo il nostro Paese, ma ci piace scoprire e, di conseguenza, suonare anche nel resto del mondo. Abbiamo già viaggiato un pochino suonando, quest’anno passeremo da qualche città francese, poi… chi lo sa? Già questo è fantastico.
Radio e Magazine. Media italiani. Come vive la musica italiana secondo voi?
Ci pare viva “a singhiozzo”. Ci sono molti spazi bloccati, non solo nel mainstream. Per fortuna altri sono ancora “accessibili”. Ma bisogna lottare per farsi sentire. E crediamo in parte sia normale con l’ampissima proposta alternativa disponibile (spesso di altissima qualità).
Lasciamoci alle spalle il passato: il futuro secondo THE PANICLES?
Continuo cambiamento, ricerca. Un passo alla volta verso ad una maturità che forse non arriverà mai completamente.
Viaggiare suonando, suonare viaggiando. Il prossimo disco, se e quando ci sarà, probabile sarà completamente diverso da questo. No Panic!
No Panic! No Italians! No Got Talent! No De Filippi.ni! PLAY LOUD gente…
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.