Filippo Gabbi è giovanissimo e in fondo dalla sua famiglia arrivano decise semine d’arte e di suoni. Ed è la vita stessa che poi decide quali direzioni prendere, quasi come fosse normale ogni cosa. Filippo Gabbi si fa chiamare GABBER ed io lo ricevo qui in questo salottino virtuale sfogliando questo esordio dal titolo “Luna” che praticamente ha realizzato quasi tutto da solo, dai suoni, dalla scrittura, dalle soluzioni. Un disco lungo, impegnativo, presuntuoso nel senso artistico e bello di questa parola. Certamente i cliché, quelli che portano il pop dentro le strade dell’underground metropolitano. Ma anche un ricerca timida che forse Gabber avrebbe dovuto spingere e rendere più sfacciata ancora. Quasi si nasconde invece… che poi tutto questo sembra essere davvero il lato bello della storia. “Luna” lo lascio girare mentre ci accomodiamo a portata di luce…
Benvenuto nel nostro salottino digitale. Virtuale come sembra essere divenuta tutta la vita oggi. Come ti rapporti come musicista e come utente alla musica di oggi?
Con Spotify, YouTube e Soundcloud principalmente, insomma in maniera digitale. Sono un old schooler e ho sempre amato comprare i dischi tuttavia più comodo dello streaming c’è poco ad essere sinceri.
Il pop in così tante declinazioni ormai sembra aver perduto identità. Ormai anche la trap potrebbe chiamarsi pop. Tu cosa ne pensi?
Beh non siamo più negli anni 70 dove la musica e i fan della musica sono divisi in compartimenti stagni, oggi tutti i generi si ibridano con altri com’è giusto che sia. Spero non si torni mai ad una ghettizzazione com’era tempo fa.
“Luna” è un lavoro assai coraggioso. Lungo, intimo, intenso… ecco un punto in totale controtendenza alle abitudini…
Sì non ho guardato le necessità del mercato, non avrebbe nemmeno avuto senso, non ho contratti con delle major discografiche. Ho fatto quello che sentivo giusto e ho unito i generi/suoni/argomenti che mi stavano più a cuore in quel periodo. Questo penso sia un album, una fotografia dei mesi in cui lo scrivi e ciò che ti interessa e vivi intorno.
E cosa ti spinge a divenire portavoce di te stesso? Di cosa aveva bisogno Filippo Gabbi?
Ho sempre avuto la necessità di comunicare con le parole o con delle melodie (melense o toste che fossero) le mie emozioni da quando ho memoria. Questo è il bisogno di Filippo Gabbi e quindi di Gabber. Comunicare attraverso la musica. Da sempre.
È tempo di un altro video? Questa volta metterai in campo tutta quella ricerca e sperimentazione che hai riversato nel disco o percorrerai sempre le strade più “normali”?
Dal mero punto di vista del business musicale fare video è diventato spesso controproducente, in Primis perché il livello si è alzato e far produrre un video costa davvero molto e il budget preferisco metterlo nella musica e nella pubblicità della stessa ma secondo me i clip non sono per forza necessari. Canzoni che hanno mezzo milione di plays su Spotify hanno video fatti benissimo con 10mila views.
Ne arriveranno altri di video ma non è il modo principale di fare arrivare a più persone i miei prossimi singoli. E sì, se arriveranno non potranno che essere qualcosa di elaborato.
E dalla rete pesco il video della title track. Ci verrebbe da fare un parallelismo con la solitudine pensata, voluta, patita dentro resilienze tutte personali ed il tempo pandemico che ci costringe alla solitudine tecnica, sociale, quasi schiavizzante per la mente che non ha più educazione a restar sola. Lascio girare “Luna” e poi alla luna vado pensando…
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