A tratti mi sembra d’esser tornato al magico mondo di Amelie. Che poi Amelie l’ho invitata per davvero ma questa è un’altra storia e di certo non me ne vado in Francia. Ma scendiamo nella Romagna Italica, giriamo attorno a Faenza con uno spirito goliardico e serioso, con strumenti ineluttabilmente acustici e realizziamo un disco che deve suonarsi così come deve sentirsi. Musica d’autore è lo scenario. Ma l’autore qui non ha ancora l’esperienza di regalare concetti che cambieranno la vita e i percorsi generazionali. E allora, invece di fare il saccente e il presuntuoso, non si cala droghe ne si sente superman…fa un solo ed unico esercizio di stile: la musica che sa fare. Torniamo al plurale e do il benvenuto ai Fab (E i Fiori), nuovissima band della scena pop cantautorale italiana, nuova pedina di un intricato tessuto discografico emergente che oggi sposa a pieno la voglia di tornare umili e veraci nella descrizione di se. Due chiacchiere con Fabrizio Barnabè, voce, chitarra (acustica) e grancassa dei Fab.
Fab (E i Fiori). La prima cosa che mi colpisce sono le parentesi tonde, dal nome del progetto ai titoli delle canzoni. E non liquidiamola come trovata grafica letteraria. Dimmi che c’è molto altro…cioè?
Le parentesi sono semplicemente un invito ad approfondire. Generalmente i titoli delle nostre canzoni sono composti da una parola contenuta all’interno del testo che possa in qualche modo rappresentare l’intero brano, e con le parentesi in un certo senso metto il sottotitolo. Sono un’opportunità in più per titolare in maniera completa il pezzo senza perdere l’efficacia del titolo. Diciamolo chiaramente: nel 2015 l’offerta musicale è talmente vasta da risultare quasi opprimente, quindi è fondamentale avere titoli che riescano a invogliare all’ascolto. E con lo stratagemma delle parentesi si riesce a dire qualcosa in più e a incuriosire ulteriormente. Poi ovviamente si è cercato di dare uniformità diciamo “estetica” a tutto quanto, per avere un’immagine chiara e precisa anche a livello meramente stilistico. Penso che (oggi più che mai) si debba calcare la mano sulle cose che ci possono contraddistinguere meglio, a partire anche da piccole scelte grafiche o concettuali.
Leggo e sento del suono semplice e riproducibile. Oggi mi piace questa parola. Riproducibile. Una scelta vostra ovviamente. Vincente sicuramente. Reale, finalmente qualcosa di realmente riproducibile. Ma quindi, stiamo dicendo in qualche modo che è sbagliato realizzare dischi arrangiati fuori dalla portata dell’autore?
Ti ringrazio per averlo notato, era una cosa a cui tenevamo. Il nostro album ha esattamente il suono riproducibile per eccellenza, sia da noi nei concerti, che in generale: è un lavoro composto da strumenti veri senza artifici digitali, quindi non c’è bisogno di basi o di chissà quali trucchi per ricrearlo. Ma intendiamoci: non abbiamo nulla contro il mondo degli arrangiamenti elaborati (anzi, io personalmente amo alla pazzia album ricchissimi, pieni di suoni intelligenti e di trovate complesse), semplicemente abbiamo constatato che molti artisti emergenti che si buttano a capofitto nel tentativo di fare un album che suoni grandioso ed epico poi spesso dal vivo lasciano molto a desiderare, proprio perché si crea un’aspettativa che non può essere mantenuta. Essendo questo il nostro primo album abbiamo scelto di puntare invece sulla sincerità assoluta, così da rendere impossibile l’effetto-delusione e rafforzare ulteriormente la nostra essenza più grezza. E’ un po’ come andare a letto con una donna tutta apparecchiata a festa che ti sembra bellissima e poi svegliarsi la mattina dopo a fianco di un piccolo mostricciattolo: lo abbiamo voluto evitare. Il live è il momento della verità su cui troppi cadono. Alle nostre donne (le canzoni) abbiamo messo vestiti curati ma poco appariscenti, un trucco leggerissimo appena accennato, pochissimi gioielli. In questo modo – se vi sono piaciute così – la mattina, dopo averci fatto l’amore, vi piaceranno ancora (e chissà che non vi piacciano ancora di più).
Con Fab (E i Fiori) si torna a parlare d’amore. Avete fatto caso come oggi quasi tutte le produzioni parlano di crisi e di marcia società?
Soprattutto nel settore meno mainstream sembra che parlare d’amore sia una cosa da paraculo, e che il cinismo debba essere obbligatorio per ingraziarti facilmente il pubblico. Il punto vero per me non è il parlare o meno d’amore ma: come ne parli? La canzone pop è per definizione soprattutto una canzone d’amore, ma cadere nei soliti chilché dell’amore puro idealizzato o di una lei che se ne va non aggiunge nulla a quanto già fatto (illustramente) da molti artisti. Allo stesso modo parlare di quanto sia marcia questa società è avvilente, e davvero spesso non aggiunge nulla a quanto già fatto da molti. La vera paraculata oggi è sfruttare i sentimenti negativi della pancia della gente, tipo mandare tutti a fanculo, cantare che tutto è una merda, o fare le classiche canzoni “ad elenco” che vorrebbero essere intellettualmente caustiche e invece risultano troppo spesso solo degli sfoghi puerili molto autoreferenziali. Quindi la strada che mi è venuta naturale è composta da canzoni sull’amore e sul non amore che però hanno molte sfumature diverse: uso la coppia, la relazione emotiva, come un pretesto per affrontare tematiche diverse, e in generale per descrivere quella che ai miei occhi è la modernità. E così nell’album si trovano pezzi che riguardano fatti di cronaca nera all’interno della coppia, o pezzi che invece pongono sotto una luce ironica alcuni comportamenti “borghesi” dell’amore, o canzoni più semplicemente descrittive di certi modi di intendere le relazioni. Per esempio, c’è una canzone che ruota attorno alla frase “massì, ma dai, lo sai che forse un giorno” che sembra apparentemente una canzone d’amore su due che si stanno perdendo e non sanno bene come chiudere definitivamente, ma in realtà può essere a tutti gli effetti una canzone sulla mia generazione: nessuna generazione più di questa potrebbe riconoscersi così bene nella frase “massì, ma dai, lo sai che forse un giorno”, a prescindere dalle questioni amorose.
Ma perché un mood solare seguito da malinconici brani in minore? Almeno queste sono le divisioni geometriche della tracklist di questo esordio.
Perché in noi ci sono due componenti quasi opposte, una che tende più verso il pop più intuitivo e una che tende più verso la tensione espressiva. Abbiamo pensato che i pezzi più scanzonati stessero meglio all’inizio del “percorso”, lasciando spazio alle riflessioni e alle storie più truci andando avanti. Poi però c’è l’ultimo brano che ha un finale molto positivo, per evitare che l’ascolto intero del disco lasci l’amaro in bocca: proprio alla fine c’è la canzone che concettualmente mette assieme un po’ tutto l’album e passa oltre.
Dietro la grande scena discografica italiana e dentro la scena discografica emergente. Che dite, possiamo raccontarla così la vostra storia come quella di chiunque altro inizi a fare questo mestiere?
E’ innegabilmente così. Ci sentiamo anche molto debitori della grande storia discografica italiana, che ha avuto periodi d’oro in cui la musica pop non era ancora schiava di logiche grezze-televisive, ma si occupava di trasmettere emozioni condivise, con onestà, a un largo pubblico assetato di qualità. Stiamo inseguendo quell’ideale di “nazional-popolare”, e partiamo da qui: nel nostro piccolo, con il nostro piccolo pubblico, la nostra piccola etichetta, le nostre piccolissime risorse economiche, ma ovviamente con una grandissima, scelleratissima e disperatissima passione.
“Nonmiscordardite” dove si ferma? Che limite ha? E che limite vuol superare?
Il limite più evidente dell’album è proprio una delle sue caratteristiche salienti, cioè l’essere stato registrato tutto in presa diretta con pochi strumenti. Nel complesso quindi è un album che non gode di varietà sorprendente, ma si mantiene sullo stesso schema sonoro più per necessità che per scelta. Ogni soluzione in musica ha i suoi pro e i suoi contro: per garantire quella sincerità e quella riproducibilità di cui parlavamo appunto prima, è stato inevitabile dover sacrificare l’ampiezza dello spettro di atmosfere e suoni all’interno del disco. Oltretutto la nostra formazione del tutto anomala ci ha reso l’operazione ancora più avventurosa: far quadrare un album intero, delegando quasi ogni apporto ritmico a una picchiatissima chitarra acustica aiutata da una manciata di percussioni, è stata una lotta vera. Il limite che vuole superare è proprio questo: la centralità dell’album spetta per forza alle canzoni e non ai suoni, e crediamo che ascoltandole si possa percepire il nostro stesso sudore. Dal vivo poi ci siamo tutelati con un uso massiccio della grancassa da parte mia, di un charleston e altre percussioni divise fra Libero (chitarra elettrica, voci) e Filippo (piano), per fare in modo che il sudore non venga a mancare mai nemmeno dal vivo. Diciamo che ci teniamo a dover lavare sempre un sacco di camicie!
Dalla Romagna al resto del mondo. Ci basta anche l’Italia. Quanto suona questa Italia? Quanta voce non arriva alle orecchie di chi ha voglia di sentire?
Dalla Romagna cerchiamo di fare il possibile: anche arrivare in Emilia per noi è come andare all’estero. Ogni zona ha le sue caratteristiche e i suoi gusti sonori. Siamo stati felicissimi di toccare varie città con la prima parte del nostro tour (Milano, Mantova, Vicenza, Parma, Bologna, Ravenna, Cattolica, Faenza, Livorno), oltre che per farci conoscere, anche proprio per “testarci”. Più che il problema di voci che non arrivano a chi vorrebbe sentire, noto un problema inverso: c’è un sacco di gente che suona, e ormai c’è più gente che suona rispetto alla gente che ascolta. Come si potrebbe dire anche del settore editoriale (ci sono più scrittori che lettori) e non solo. Si sta creando una sproporzione fra offerta e domanda, e credo che la domanda di musica sia inferiore all’offerta: oggi potenzialmente chiunque potrebbe decidere di diventare un cantautore e di diffondere le sue cose dalla camera da letto. Ma c’è sempre meno gente che ama andare ai concerti e ascoltare intelligentemente un album. Noi siamo perfettamente consapevoli di essere parte di questo surplus di “gente con cose da dire a gente che non vuole ascoltare”, per cui cerchiamo di fare del nostro meglio per differenziarci da tutti gli altri sia nelle modalità che nel contenuto. Se riusciamo a convincere ed emozionare chi ci segue o chi ci vede live per la prima volta, vuol dire che siamo sulla strada giusta. La musica nel 2015 la fai solo se visceralmente non puoi farne a meno e se trovi pane per i tuoi denti. In questo caso il pane per i nostri denti è la risposta del pubblico, e andando avanti vogliamo affinare sempre di più la nostra giungla sonora per essere ancora più resistenti alle intemperie, ecco.
Anche io mi tiro le pose. Tutti ci tiriamo le pose. Fab (E i Fiori) si tirano le pose e non lo sanno. Ma almeno loro lo sanno cantare. Il singolo che tanto mi è piaciuto, per fortuna, ha anche un video…e anche questo mi è piaciuto. Good Luck…