Prendete tre ragazzi romani con una sfrenata passione per il rock, per la scienza e per la satira. Date loro la possibilità di produrre il disco d’esordio. Otterrete “Ouverture” della Hofmann Orchestra, il lavoro con il quale il trio capitolino si presenta al pubblico, nel migliore dei modi. Ne abbiamo parlato con loro.
Ciao ragazzi, benvenuti su Onde Indie Pendenti! Domanda spacca ghiaccio: quando nasce la Hofmann Orchestra e soprattutto perché vi chiamate così.
Ciao, il progetto nasce ufficialmente a metà del 2019 con l’ingresso di Stefano al basso e solo pochi giorni dopo abbiamo pensato a quale nome adottare per la band. Il termine “Orchestra” ci piaceva per l’idea di imponenza e solennità che trasmette.
“Hofmann” invece proviene da Albert Hofmann, lo scienziato che per primo sintetizzò l’acido lisergico e oltre a piacerci il suono del nome, ci sembrava coerente con il tipo di musica che proponiamo, e con lo spirito di ricerca che mettiamo in campo durante la creazione dei brani.
“Ouverture” è il vostro disco di debutto. Le canzoni ci hanno dato una bella scossa, a cominciare dal singolo “Tutti i nudi vengon al petting”. Ci si trova un’energia rock che mancava da tanto nel panorama indie italiano. Ci raccontate come è stata la genesi dei brani?
La genesi è piuttosto variegata, o sarebbe meglio dire che non esiste per noi un metodo sistematico con cui approcciamo alla stesura di un brano. Alcuni brani nascono in maniera quasi cantautorale. Perciò partendo dalla voce con un accompagnamento ed una bozza di arrangiamento, e poi al netto della voce si cancella tutto e si riarrangia in sala prove. A volte invece è capitato di partire da un’improvvisazione strumentale e poi una volta registrata abbiamo “smontato” la struttura del pezzo inserendo la voce.
Questo viene fatto anche per garantire una certa originalità ed imprevedibilità evitando di ingabbiarci in quelli che possono essere i nostri cliché stilistici.
Avete dichiarato che con “Ouverture” volete sottrarvi ai cliché della scena indipendente italiana. Provocazione: quali sono questi cliché?
Da quello che abbiamo potuto constatare ci sono diversi cliché ma soprattutto alcuni “comandamenti” da rispettare a tutti i costi:
dal punto di vista vocale c’è molta poca varietà, sia dal punto di vista tecnico che interpretativo. Dal punto di vista strutturale è ancora molto ancorato allo schema strofa-ritornello-strofa.
Gli arrangiamenti anche sembrano molto fotocopiati tra loro, anche se ci rendiamo conto che, se l’obiettivo è ottenere consensi, la paura di non essere compresi prende il sopravvento.
Immaginiamo però che del buono nella scena voi siate in grado di trovarlo, quindi vi chiediamo tre artisti italiani ed indipendenti, come voi, da ascoltare assolutamente.
Sì, ci sono alcuni gruppi interessanti sicuramente, potremmo intanto menzionartene due che ci piacciono tantissimo, anche se sono gruppi che sono in giro da un po’ di tempo. Il primo sono i Bachi da Pietra, un progetto che ha una personalità ben definita e fortissima. Un altro gruppo, che non ha bisogno di presentazioni, sono i Calibro 35, che sono una sorta di “dream team” vista anche l’elevatissima qualità dei musicisti. Infine, ci va di menzionare i Laago!, un po’ perchè sono romani e più o meno coetanei, un po’ perchè sono etichettati come “indie” ma cercano comunque di sottrarsi ad alcune delle regole citate sopra, e apprezziamo molto il loro essere atipici.
Ascoltando “Ouverture” ci viene in mente anche un’altra parola oltre a rock. Ed è “sudore”, quello che nasce durante un live e che ci manca tantissimo. Sperando di poter tornare presto a sudare tutti insieme, avete già in mente come sarà suonare le nuove canzoni dal vivo?
Sicuramente i pezzi li abbiamo provati in sala in diverse occasioni, quindi una vaga idea di come potrebbe essere l’atmosfera di un nostro live ce l’abbiamo, però siamo molto curiosi di (ri)sperimentare concretamente certe sensazioni quando si potrà tornare finalmente a suonare dal vivo.