Cronaca e Preghiera: la recensione del debut album

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Si apre con un minaccioso e malsano electro rock dai toni scuri il primo e omonimo disco dei CRONACA E PREGHIERA, band che si pone come obiettivo quello di tratteggiare lo squallore e l’insoddisfazione dei tempi moderni a colpi di suoni sintetici e chitarre elettriche. Le musiche e i film di David Lynch, la provincia, il blues della metropoli, il lato oscuro del vivere quotidiano scendendo a compromessi: tutto è funzionale alla stesura di un disco che già dai titoli mete in chiaro la propria posizione di critica e condanna della realtà attuale. La vita al tempo della crisi, Costa meno andare a troie, Se ho fame fumo, Mi sposo un calciatore, sono tutti emblematici di un sentire ammalato che ti tramuta in estetica sonora malata e decadente.

Attenzione però che il rischio di passare per band con riferimenti fin troppo evidenti è forte (Le cose sexy e Ucciderti a rate a proposito sono proprio alcuni di quei brani che fanno crescere il dubbio che Cronaca e Preghiera abbiano ascoltato troppo il Management Del Dolore Post Operatorio); un certo Battiato assieme all’ultimo Capovilla sono altri riferimenti che sommati alla tendenza wave gothic di alcuni momenti completano o quasi il discorso, esaurendolo praticamente a metà disco.
Le paludose atmosfere della dilatata L’abominevole uomo cupo segna una pausa dall’andazzo generale grazie alla descrizione di un incontro raccontato quasi in chiave western; ma al di là della carica eversiva dei testi e delle tematiche affrontate, quest’album appare un po’ monocorde e debole. Si segnala il brano La Croce, senza dubbio il momento migliore dell’intero ascolto, così come la banalità e la fin troppo evidente enfasi sui cliché relativi al mondo dei calciatori e delle soubrette, veline e presunte tali. Troppo facile forse approcciare la postmodernità con queste carte.