Anche le Scarpe Parlano: Intervista ai My Speaking Shoes

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Intervista a cura di Angela Mingoni

Sabato 01 Novembre è uscito in streaming il secondo album della band My Speaking Shoes, dal titolo Siamo Mai Stati.

Ecco come ce lo hanno raccontato Matte e Cami!

Benvenuti!

Grazie!

Allora, giusto per rompere il ghiaccio, come vi è venuta l’idea di My SpeakingShoes? 
Partiamo prima dalla spiegazione del nome ( le mie scarpe parlanti) ed arriviamo poi ad una piccola descrizione del gruppo.

Matte: quando abbiamo formato la band non sapevamo bene quello che volevamo fare, ma sapevamo benissimo di essere dei cazzoni. Per questo non abbiamo cercato un nome troppo impegnativo, non avevamo voglia di prenderci troppo sul serio. Un giorno ero a fare la spesa e ho visto le mie scarpe riflesse su una bacheca di plastica mentre ero in fila alla cassa: l’effetto ottico suggeriva che si muovessero e parlassero in corrispondenza del brusio di sottofondo. Mi ha ricordato la scena dei Simpson dove Otto è al Lollapalooza completamente ubriaco e vede le sue scarpe che gli dicono ‘Non preoccuparti, non ti faremo del male’, puntata in cui peraltro compaionoGilmour, i Sonic Youth e gli SmashingPumpkins. Belle cose insomma, da qui il nome della band.Ora le cose sono un po’ cambiate, la nostra musica è più seriosa e incazzata; siamo peròrimasti legati all’ironia che ci accompagnava all’inizio e quel nome scelto un po’ a caso ce lo sentiamo ancora addosso.

Ho sbirciato la vostra pagina Facebook, e tra tutti un commento in particolare mi ha colpita:
“Finalmente qualcuno mi ha detto che ricordo Björk e non Hayley Williams”
Ora premettiamo subito che l’ho apprezzato per l’ironia non perché ci vedessi della spocchia. Camilla, rivendichi il tuo diritto d’appartenenza?

Cami: Sono contenta che il commento non sia stato frainteso. Entrambe le voci citate hanno una loro bellezza e bravura. Mi sento più vicina a quella che può essere la direzione di ricerca di Björk che al modo di cantare della Williams e a quello che vuole ottenere dalla propria voce. Björk ha un modo di esplorare le proprie possibilità vocali e le melodie che spesso uso quando improvviso per comporre. Tutto viene poi superato completamente nella lavorazione, sia perché non è che i pezzi su cui cantiamo si assomiglino e per forza ispirano soluzioni molto diverse, sia perché mica sono poi brava e completa come lei, non ancora J. Insomma alla fine non mi sento di assomigliare troppo nemmeno a lei nel risultato finale, quello che la gente sente e commenta, ma sicuramente il paragone mi lusinga.

Ma arriviamo adesso a Siamo Mai Stati; per la prima volta avete scelto l’italiano per un vostro lavoro. Sappiamo che scrivere in Italiano è più complesso rispetto all’ inglese, vi siete voluti mettere alla prova?

Cami: E’ un desiderio che avevamo da tempo, ma siamo riusciti solo ora a capire come farlo in modo orecchiabile e senza intaccare la resa sonora dei brani. E’ sempre più bello e coinvolgente quando il pubblico capisce ogni singola parola del pezzo. L’ascolto è più completo e d’impatto, si emoziona di più sia chi riceve e ti sente dire qualcosa (speriamo) di forte, sia tu che ti metti a nudo sul palco senza la barriera linguistica a proteggerti.

Matte: L’inglese è una lingua più facile, suona benissimo sulla musica che facciamo ed è stata la soluzione più naturale all’inizio. Ma l’italiano è più diretto, le parole arrivano piene e subito. È stato un po’ un casino, ma siamo soddisfatti della scelta.

Siamo Mai Stati…. Come si completa la frase?

Cami: E’ una frase aperta, sarebbe un peccato completarla e toglierle le sue mille possibilità. Per me regge benissimo così com’è. Ha una sua seraficità malinconica così, senza neanche il punto interrogativo, e a livello sottocutaneo è struggente nella sua esigenza insoddisfatta di autodefinizione.

Per realizzarlo ci sono voluti due anni, volevate raggiungere la perfezione?

Cami: colpa mia, che sono un’eterna indecisa e produco qualcosa di soddisfacente solo quando lo stress della registrazione imminente mi sblocca. Sono stati anni di insicurezza, disperazione e sensi di colpa. Ero arrivata a pensare di non riuscire a tirar fuori più nulla e stavo cercando la forza per annunciare la cosa, finchéè arrivato agosto e lo studio. Con giornate lavorative di 15 ore, lunghi venerdì notte di rifiniture e sabati in studio, ho scritto tutti i pezzi del disco in un mese, in una sorta di delirio mistico che Dio lo benedica ma per un po’ non parliamone più.

Matte: non è poi del tutto vero, anche noi che componiamo la parte strumentale ci mettiamo mesi per decidere la cassa pari qui, lo stacco di basso lì, e questo suono fa cagare, e quel giro di basso stona, e questo arpeggio non è abbastanza stronzo ecc… Di fatto non si va mai d’accordo su niente all’inizio. Dallo scorno dei nostri gusti, che son parecchio diversi, spesso poi nascono le cose più belle. In ogni caso la perfezione non fa proprio per noi, è già abbastanza comporre qualcosa che metta d’accordo tutti!

Probabilmente spesso verrà chiesto a Camilla come si sta da ragazza unica in un gruppo con tre ragazzi.
Bene, noi ribaltiamo la questione; come riesco tre ragazzi a gestire l’esuberanza di una donna?

Matte: gestire? La Cami non si gestisce! E’ un cavallo pazzo! Per esempio: quando compone le melodie fa prove su prove insieme o da sola. Per noi dalla sua improvvisazione nascono sempre degli spunti grandiosi, per lei fa sempre tutto schifo. Cambia le cose all’ultimo. Non sai mai quello che ti canteràin studio. Sul palco è la timidezza incarnata, poi appena parte il casino si trasforma in una furia. E’ una roulette! E le vogliamo bene proprio per questo.

Grazie ancora ragazzi ed in bocca al lupo!

Grazie a voi!

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